10.1.08

Risponde Luca Sofri (2)

Tu però sii un po' intelligente: ti ho spiegato che le tue pretese "impegnative considerazioni" sono completamente sbagliate perché partono dall'attribuirmi cose che io non ho né scritto né pensato. A che dovrei rispondere, quindi? Dai.
L.


Gentilissmo L., come vedi pubblico i tuoi commenti in veste di vero e proprio post: spesso gli interventi a margine non vengono infatti letti dal pubblico più distratto e ritengo la chiarezza il miglior strumento per permettere "agli altri" (ovvero ai navigatori) di valutare oggettivamente le diverse posizioni.

Prima di tutto permettimi di sottolineare come grazie al tuo provvidenziale e dialetticamente schiacciante contributo ho ben scoperto, in circa 13 righe, di non sapere leggere, scrivere e, purtroppo per i miei genitori che tanto hanno fatto per farmi studiare e che credevano in me, discernere.

Certo che se mi fossi chiamato Gigi e non Nicola mi sarei probabilmente giuridicamente sollazzato con quel paternalistico e inopportuno invito ad essere intelligente... ma siccome il vano agitarsi delle code di paglia mi ha sempre fatto sorridere - soprattutto date le evidenti sproporzioni di notorietà, quale onore! - soprassediamo al tono piccato (e decisamente poco costruttivo, ma eloquente) per soffermarci sui contenuti.

Diciamo chiaramente che la mia lettera aperta è caduta nel vuoto, ma non stiamo a qui a menarcela per ricondurre la colpa linguistica o percettiva di tale incomprensione. Sarò quindi più chiaro: nel tuo pezzo scritto per Nova lo scorso 15 novembre, hai fatto riferimento ad un caso specifico che mi coinvolge personalmente (lo deduco da tre elementi inequivocabili, illustrati nella mia missiva); ciò considerato, personalmente ritengo quindi non obiettivo e giornalisticamente scorretto, in una vicenda così particolare e 'sentita' dalla blogsfera, che tu non ti sia scomodato nel contattare me o altri bloggers per chiarire le nostre posizioni come ha fatto Adriano Padua a poche ore dalla diffusione, nel febbraio 2006, della nostra vicenda sul web; hai però contattato la nostra controparte (parlo ovviamente al plurale), conversando amabilmente su torti e ragioni dei presenti ma, sopratutto degli assenti. Spiegami quale obiettività divulgativa risiede nel parlare di un fatto così articolato con una sola parte in causa... Mi sembra palese che tu non percepisca questa anomalia (e me ne rammarico, da tuo storico lettore su Internazionale); vedo purtroppo che una profonda diffidenza nei confronti del Carneade di turno persiste, se comunque ti limiti a liquidare le mie osservazioni con tale tracotanza evidente ai più.

I casi allora sono due: o si scrive di Internet, o si vive l'Internet. Se ne scrivi solamente, puoi tranquillamente permetterti di avviare canali unidirezionali di sofismi stilistici, privi di confronto dialettico (così come si possono condurre trasmissioni televisive pretendendo che gli ascoltatori non possiedano senso critico); lo stesso Vittorio Zambardino, ponendo questioni simili alle tue sul proprio blog, si è ben guardato dal rispondere alle civili e articolate osservazioni dei lettori applicando la cara, vecchia massima del "lancio il sasso poi ritiro la mano".
Leggo in questi confronti verticali mancati (cioé tra noti titolari di blogs e i propri lettori) la stessa strategia autoreferenziale e, in fondo, autolesionista attualmente applicata dallo stesso Beppe Grillo e balzata alle cronache negli ultimi giorni:

«Pronto buongiorno sono Gilioli de L’espresso, la disturbo?»
«Certo, lei mi disturba sempre».

«Mi dispiace. Volevo sapere se ha visto le domande che le ho mandato…».
«Certo che le ho viste e non intendo minimamente risponderle».

«Come mai?»
«Perchè sono domande offensive e indegne».

(Toni non inediti, direi).

Se l'Internet lo vivi, invece, sai che sarai costretto ad abbassarti al livello dei lettori (e dei loro pochi mezzi) per guardarli in faccia, confrontarti, comprenderne le ragioni. Ecco cosa mi ha insegnato la breve ma intensa esperienza da blogger: che là fuori non c'é solo un mondo di lanzichenecchi assetati di sangue e dediti al vano turpiloquio e alla calunnia, ma un gruppo eterogeneo di persone con i quali condividere (o difendere) il proprio punto di vista. Una bella scuola di tolleranza.

N.

Risponde Luca Sofri

Boh: da quello che scrivi traggo che non hai capito metà delle cose che ho scritto, e ti confesso che non mi pare sia colpa mia.
Poi io non capisco l'altra metà delle cose che scrivi tu.
E che tu equivochi addirittura sulla mia battuta di oggi, che intendeva essere sarcastica rispetto al fatto che da disoccupato Moncalvo si potrebbetornare a occupare della sua passione querelatoria, attribuendomi assurde intenzioni (dovrei pensare che i blogger sono in ansia per la sorte di Moncalvo), mi conferma che c'è un problema a monte.
Non so che dirti, quindi. L.



Ciao Luca,

grazie per aver riscontrato il mio post... ma l'incipit è, sinceramente, desolante.
Dichiarando di aver compreso almeno la metà delle cose contenute nella mia "lettera aperta", infatti, sei stato particolarmente autoindulgente: hai risposto infatti solo alle ultime tre righe della mia lunga "lettera aperta", soprassedendo alle ben più impegnative considerazioni espresse precedentemente...

Ma in fondo la tua non-risposta conferma pienamente quanto da me asserito.

N.

8.1.08

Lettera aperta a Luca Sofri, a proposito di blog...

Caro Luca,

interrompo mio malgrado il "coma farmacologico" nel quale avrei voluto che vegetasse questo blog per rispondere pubblicamente ad alcune tue considerazioni, a proposito della ormai nota querelle informatica scatenata da G.M., che ritengo eufemisticamente sgradevoli. Talmente fastidiose, appunto, da obbligarmi moralmente a sfruttare, rianimandolo momentaneamente, questo mio misero e bistrattato pulpito privato per esprimere in modo articolato la mia disapprovazione.

Ad uso divulgativo riporto integralmente il testo pubblicato da Nova (e, di riflesso, sul blog Wittgenstein) lo scorso 15 novembre. Chiedo scusa del ritardo con il quale riscontro il tuo scritto, ma grazie al Cielo nel frattempo avevo cose ben più importanti cui assolvere (tra le quali la nascita della mia seconda figlia, Cecilia).

L'onere delle avanguardie: educare le retroguardie

Ci sono alcune ragioni, dalla parte di Gigi Moncalvo. La pretesa che poiché la rete sarebbe libertà, democrazia, bla bla bla, questo consenta a chiunque qualsiasi inciviltà è una sciocchezza che ricorda le parodie di Corrado Guzzanti sulla Casa delle libertà, quella dove “facciamo un po' come cazzo ci pare”. Poi si può suggerire a Moncalvo maggiore indifferenza e serenità nei confronti delle violente ma piccole aggressioni di critici con pochi mezzi, lui che va in onda in tv tutte le settimane: ma è indubbio che alcune delle sue querele stiano del tutto dentro la legittimità legale.
Poi ci sono diversi torti, dalla parte di Gigi Moncalvo. Alcune delle sue denunce riguardano espressioni che solo giudici molto bigotti potrebbero definire “diffamazione” (e però ci sono, giudici molto bigotti), e le sue cause legali travolgono con seccature, spese, e preoccupazioni persone che non hanno fatto nulla di male. Quando non si arriva addirittura a una condanna - come è avvenuto - per l'uso dell'espressione “ex idiota”, di cui ognuno valuti la gravità: probabilmente dovrebbe esistere una differenza tra la critica antipatica o maleducata e la diffamazione. Differenza percepita dal giudice che ha invece archiviato la denuncia nei confronti del blogger che lo aveva definito “leghistone” e “ridicolo”.
Ma gli argomenti di Moncalvo sollevano un altro problema, e non solo quello delle normative che riguardano internet. Ed è quello della grandissima difficoltà che molte persone hanno a relazionarsi con un mondo che non ha niente a che fare con quello che conoscono e a cui fanno riferimento. Ed è una difficoltà di cui non si può solo sorridere, avendo gli strumenti per farlo. Perché l'abitudine che tutti abbiamo, nel tentativo di definire le novità della rete, a fare dei paralleli con il mondo “di prima” o “di fuori”, è utile fino a un certo punto: oltre il quale diventa fuorviante o impraticabile. Questo mondo, la rete, funziona in tutti altri modi e con tutt'altri meccanismi: è un'altra cosa. E bisogna inventare nuove regole per spiegarla e definirne i casi, e sapere chiarire queste regole. Altrimenti, quando si parla di internet usando per facilità i paragoni con il mondo che c'era prima, poi bisogna affrontare l'obiezione di Moncalvo di fronte a un link: “io clicco, e mi trovo davanti un testo diffamante. È come un giornale che pubblichi una calunnia copiata da un altro giornale. È come se io in tv ospito uno che dice cose diffamatorie nei confronti di qualcuno: io sono responsabile, e vengo denunciato e condannato”. Avendo gli strumenti, è facile vedere le differenze tra questi casi: quello che è difficile, è vedere qualcosa a cui invece assomiglino, i links. Perché non assomigliano a niente di quello che c'era prima, di quello che conoscevamo, di quello che per gran parte delle persone è ancora la realtà: e forse bisogna trovare modi e pazienze per spiegarle, queste cose, perché d'ora in poi siano chiare per tutti. E non definite dalla roulette russa delle sensazioni di giudici più o meno preparati e attenti.


Allora, caro Luca, vediamo con ordine...

1) Sarei curioso di conoscere l'accezione di critici con pochi mezzi. Se ti riferisci alla situazione professionalmente precaria (e, quindi, priva di sostanziose risorse finanziarie alle quali attingere per la propria eventuale difesa legale) nella quale versano molti querelati o, piuttosto, allo spirito e allo scoramento con il quale il privato ed onesto cittadino deve improvvisamente affrontare l'Autorità ed un procedimento penale, sono perfettamente d'accordo con te. Ho però il sospetto che tale pochezza racchiuda dal tuo punto di vista una certa supponenza radical-chic, nella quale i pochi mezzi corrispondono più ad uno snobismo disgustato e indifferente all'opinione del vulgo che ad una partecipazione e comprensione delle sproporzioni tra critici e soggetto/oggetto della critica;

2) conseguentemente al concetto sopraespresso (e a suo rafforzamento) mi chiedo proprio perché pur citandomi ("leghistone" e "ridicolo" sono due mie espressioni utilizzate nel post contestatomi, così come la posizione giuridicamente archiviata cui fai cenno) non ti sei preso l'onere di contattarmi per conoscere la mia posizione e la mia misera opinione, concedendo comunque ampia possibilità di espressione al mio/nostro querelante: questo rafforza il mio amaro sospetto che i pochi mezzi debbano essere solo motivo di pietas e non rappresentino, appunto, un gallone sufficiente a catturare l'attenzione del bravo giornalista (parafrasando il 'bravo presentatore' del Frassica) così che si scrivano tonnellate di parole sul fatto senza mai coinvolgere la comunità dei bloggers o i diretti interessati (Adriano Padua a parte che, scrivendo di noi su l'Unità On Line nel febbraio 2006, ha scatenato una concatenazione di strali);

3) ti faccio peraltro notare, pur esprimendo la mia partecipazione emotiva alla vicenda di Mirko Morini, la differenza tra i termini "ex idiota" e "leghistone" o "ridicolo". Se nel primo caso si può auspicare, effettivamente, la necessità di un certo a-bigottismo per recepire il sarcasmo contenuto nella definizione usata da Morini e non la palese diffamazione, nel mio post uno dei termini da te riportati é sì forte ma pertinente (a meno che definire leghista chichessia - o "leghistone" se rappresentante convinto di tale corrente - sia ritenuto un insulto), mentre se avessi letto il post meno distrattamente avresti notato che personalmente ritenevo ridicolo non il personaggio, ma il gesto di saluto confessionale ed enfatico (dalla controparte mi è stato contestato, infatti, il parallelo metaforico con il nazionalsocialismo e non alcuni termini specifici come tu supponi). Una cosa è "confidare nell'elasticità mentale del magistrato" sapendo di muoversi in ambiti di estrema soggettività percettiva e culturale, un'altra è venire oggettivamente ritenuti assolutamente innocenti già nella fase preliminare dell'indagine (vedi "archiviazione" e contestuale negazione della possibilità di ricorso della controparte).

4) Esulando dalle specifiche valutazioni linguistiche dei singoli termini e dei diversi casi riconducibili a G.M., che sarebbero riduttive sia qualitativamente (si va da insulti veri e propri alla mera menzione dei casi, alle semplici espressioni di solidarietà nei commenti agli articoli) che quantitativamente (si narra di circa 150 querele presentate, ma forse è solo una leggenda metropolitana...), il caso che ci riguarda è indicativo non solo di una mentalità poco propensa alle nuove metodologie dell'informazione on-line, come tu giustamente sottolinei, ma anche purtroppo poco propensa - in generale - ai "confronti" (con la "c" minuscola). Scusa il gioco di parole, banale e inevitabile.

Come vedi, caro Luca, tu stesso hai contribuito ad alimentare un volano culturale che sta creando, a mio modesto parere, solo molta confusione in merito alla nostra vicenda, al ruolo dei bloggers, alla continenza (quale valore universale) e alle nuove prospettive che il Legislatore, dovendo rielaborare il concetto di "espressione" e di "libertà di informazione" ai tempi dei blogs personali e dello scambio di opinioni istantaneo e globale, dovrà affrontare compiutamente.

Buon lavoro,

Nicola Gambetti

Aggiornamento: è di poche ore fa la notizia che G.M. si è dimesso dalla RAI a seguito dello spostamento del suo programma a ora antelucana. Il tuo commento alla notizia è "tempi duri per i bloggers". Ti posso assicurare che i bloggers (ovvero gli opinionisti piccini-picciò) hanno ben altro di cui pre/occuparsi: per quello che mi riguarda, spengo il computer, torno alle mie splendide bimbe e cullo il mio blog perché si riaddormenti placidamente.