16.9.04

Rivogliamo i Colonnelli!

Tempi di revivals. Uno dei ricordi infantili più vividi, personalmente parlando, corrisponde al vibrafono televisivo che annunciava, oltre alla fine dei giochi serali, il quotidiano appuntamento con la rubrica di previsioni meteorologiche “Che tempo fa”. Io raggiungevo trafelato la cucina di casa, affiancandomi nella visione al nonno di turno. Erano i tempi del monopolio televisivo, i tempi dei Colonnelli (Bernacca, poi Baroni), delle immagini in bianco e nero (certamente più chiare delle attuali animazioni in multicolor), del conduttore bonario e paterno che si assumeva addirittura la responsabilità delle proprie affermazioni, cercando di spiegare le origini misteriose di un temporale o scusandosi se la domenica avremmo avuto pioggia. Davanti ad una lavagna, questi “zii” competenti cercavano quotidianamente di fare ordine nel caos e ipotizzando l’imprevedibile, sfiorando l’onnipotenza ai nostri occhi.
Oggi, invece, il meteo cibernetico delle mille emittenti, locali e nazionali, sembra condire e scandire ogni momento e ogni ambito della nostra giornata. Dall’alba al tramonto, il meteo è diventata una rubrica per tutti e per tutto. Le emittenti, al tempo dei supercomputer, sembrano concorrere nella ricerca frenetica della grafica più accattivante e futuristica rischiando, soprattutto per il pubblico più anziano (recettore principale, per definizione, di tali trasmissioni) l’illeggibilità totale e la sovrapposizione animata di simboli sempre più criptici e inverosimili. Sono lontani i bei tempi delle lavagne, degli ombrellini e delle nuvolette, del barometro protagonista indiscusso di una sigla ormai mitica. Siamo ormai ai tempi della previsione locale, della previsione comunale, dell’incertezza – in fondo - più assoluta sepolta sotto cumuli di icone; partecipiamo ad una guerra combattuta a colpi di ipotesi rasserenanti (in tutti i sensi) sul week-end successivo, quando ci si trova ancora nel lunedì uggioso. Il meteo sembra aver mutuato la regola dello scoop dai telegiornali cui appartiene in forma di codino, avvallando quella notizia o inserendosi in essa. Una scienza misteriosa e affascinante, dominata da pochi, popolari personaggi, è stata ridotta in vuoto contenitore nelle mani di asettici e approssimativi computer e relegata a veloce rubrica usa-e-getta. “... il tempo è sfuggevole” - diceva Edmondo Bernacca vent’anni fa – “non si può andare oltre se non siamo neppure sicuri di quello che succederà domani ...”. Altri tempi.

9.9.04

Giornalisti?

Giulietto Chiesa si chiede perché l’unico Iraq conosciuto dagli spettatori televisivi sia il tetto di una moschea e un minareto: scenografia patinata, rassicurante e immutabile di giornalisti inviati e rassegnati, cristallizzati in ipotesi o smentite, in balia di eventi e aziende. Le immagini rubate alla strada, alla trincea, alla disperazione s’interrompono pudicamente con i nostri dubbi e sul nostro ribrezzo. Le solite facce, la solita litania. Dovremo attendere un altro Michael Moore per comprendere appieno l’immoralità televisiva dei nostri tempi, la manipolazione mediatica, la strumentalizzazione mirata dell’informazione? Povero Enzo: dimenticato prima di essere conosciuto.
Non è colpa tua, caro, vecchio elettrodomestico. Tu sei solo uno strumento.
Non è colpa dei cani, ma dei padroni. Non è colpa dei bambini, ma dei genitori.
Mai come ora il rimorso, la colpa e il ricatto rappresentano bieche sfaccettature tra le pieghe di un media divenuto appendice inscindibile della nostra società e della nostra fisiologia. Lì dentro si combattono guerre, si decapitano ostaggi, si eleggono capi, si spiegano fatti, si interpretano notizie. E si smentiscono evidenze.
Mai come ora la scatola è così vuota, apparentemente traboccante di isole e di vips, di rivombrose e di “chi vuole essere”. Ma vuota di realtà: un’irreale RealTV.
Palinsesti ludici e ridanciani incombono sul nostro quotidiano, lacerati da uomini cattivi che per immolare la propria vita trascinano innocenti all’interno del medesimo tubo catodico: la televisione replica se stessa in un circolo vizioso. Immagini di morte, immagini di morti, emittenti clandestine, video minatori, videomontaggi, videoproclami, immagini rubate, immagini censurate: sembra che la nostra società respiri l’anelito di uno schermo schizofrenico, senza per questo intuire la nebulosa verità. Giornalisti ingordi accorrono con i loro caravanserragli parabolici alla convention del dolore, all’ennesimo capezzale dal quale suggere il nettare della banalità dell’ovvio: questa volta a pochi metri da noi. Così vicini da poter percepire i mefitici effluvi di un morboso sensazionalismo a puntate.