Un pò di cultura, finalmente...
Questa rubrica si è sinora occupata unicamente di trasmissioni della fascia tecnicamente definita di “seconda serata”. Il motivo è semplice: dopo l’orgia di fiction, reality-show e stranamori diurni la televisione italiana sembra aver “relegato” attorno alla mezzanotte i propri figli più prodighi, se non di contenuti quanto meno di originalità. Pregevoli operazioni anticonvenzionali di divulgazione culturale si alternano, nell’ora mannara, a tentativi maldestri – ma apprezzabili - d’innovare vecchi format, sia sulle emittenti locali che su quelle nazionali. Purtroppo, dato l’orario non proprio ‘popolare’, tali “perle” sono destinate ad intrattenere un’esangue audience provata nella mente e nel fisico sia dalle precedenti offerte di palinsesto che dal sonno incombente.
Tra le migliori proposte culturali di questa fascia ‘protetta’, segnaliamo una sofisticata trasmissione che vede protagonista indiscusso Philippe Daverio (scrittore, critico d’arte ed ex assessore alla Cultura del Comune di Milano) che, in compagnia di altri intellettuali, seduto attorno ad una cena in Maremma conversa amabilmente di movimenti artistici e culturali, alternando filmati di approfondimento a scambi di vedute placide e competenti. Una volta conscio di essere effettivamente sintonizzato su un’emittente italiana, caso strano trattandosi di cultura e di toni civili ed “educati”, lo spettatore non può non apprezzare il linguaggio amichevole utilizzato - ma al contempo accademico ed impegnato - ed una serie di documenti filmati di estremo interesse, tali da divulgare in modo chiaro e coinvolgente aspetti nodali (o meno noti) di fenomeni storici altrimenti incomprensibili ai più. Si può fare allora cultura, con la ‘c’ maiuscola, senza annoiare? Daverio ci insegna che è possibile e con risultati lusinghieri.
Questa constatazione, oggettiva e disarmante, apre una più ampia valutazione sul valore attuale della televisione pubblica e sul ruolo divulgativo che essa dovrebbe, almeno idealmente, interpretare. E’ ammissibile la deportazione oraria subita da questo tipo di trasmissioni? E’ comprensibile un’organizzazione del palinsesto sulla base del solo share, finalizzato alla vendita di spazi pubblicitari in fasce più pregiate? E’ giusto che la televisione pubblica, in questo senso, si debba attenere alle regole commerciali della televsione privata, considerando gli spettatori non come pubblico di cittadini da educare ma come consumatori potenziali da coinvolgere?