Ho stroncato un calciatore
"Come si diventa moglie di un calciatore? Quali strategie inventare per conquistarlo? Quanti segreti dividere con lui? E quanti compromessi si possono accettare?"
Queste domande, tratte non dalla posta adolescenziale di Cioé ma dal sito Internet di Canale5, introducono il pubblico all'ultimo girone dantesco degli inferi televisivi - in ordine sia cronologico che culturale - ovvero la fiction "Ho sposato un calciatore" (ebbene sì, siamo arrivato a cotanto titolo), orgia demoniaca di vacuità concettuale di cui Costantino Vitagliano è solo un innocuo - ma esemplare - protagonista.
Incentrato attorno alle vicissitudini emotive vissute dalle "signore" del calcio, ovvero mogli e compagne stuccevolmente patinate e regolarmente cornificate, questo delitto culturale contro l'umanità perpetrato dal regista Sollima (con la complicità economica di Mediaset) è talmente paradossale e prevedibile nella sua pochezza da andare oltre la ovvia (e qualunquista) definizione di "trash" ponendo noi, adulti scellerati, di fronte ad una seria e necessaria presa di coscienza sui messaggi trasmessi al pubblico e sui limiti educativi di questa nostra esausta televisione, per la quale qualsiasi giudizio assolutorio rappresenta, ora, una sorta di "accanimento terapeutico". Non sarebbe forse il caso di praticare una sana e taumaturgica eutanasia commerciale, privilegiando finalmente (e definitivamente) i contenuti a scapito dello share e poter finalmente parlare di "cultura televisiva"?
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