16.2.06

Alcune considerazioni personali

Un blog può essere equiparato ad un giornale, ad un'emittente televisiva, ad una stazione radiofonica?
Il bacino potenziale di milioni, anzi miliardi, di utenti, lo assimila ad una macrotestata d'informazione transnazionale?
Il blogger (amatoriale) è omologo al pubblicista o al giornalista professionista?

Qualcuno, sofista, ha detto che nel nostro caso non è un giornalista che querela un blogger, ma una persona che querela un'altra persona.
Non è - ovviamente - esatto. Ma su questa distinzione si gioca la partita e, secondo me, il futuro dei bloggers.

Vediamo nello specifico.

Una di queste persone (il giornalista) è un professionista, di chiaro orientamento ideologico (direttore per due anni di una testata di ispirazione politica, passato improvvisamente "voluntas Bossi" ad occupare i vertici di un'emittente pubblica nazionale - vedi comunicato USIGRAI - che dovrebbe rappresentare anche me come abbonato ed elettore) che, per il fatto di esporsi mediaticamente attraverso la partecipazione televisiva, è sottoposto - automaticamente - al giudizio popolare di forma e di sostanza. Inoltre, il giornalista in questione ha scelto di caratterizzare la propria conduzione con una manifestazione confessionale consapevolmente anticonvenzionale e provocatoria (nell'accezione di eccessivamente singolare) tale, appunto, da provocare i telespettatori all'espressione di un'opinione spesso critica e radicale (ovvero proporzionata alla singolarità del gesto e alle inevitabli reazioni morali e soggettive della sua ostentazione).
L'altra persona (il blogger) è un privato e libero cittadino, "pubblicista" anomalo e certamente non professionista, un bricoleur del web-writing, di eterogenee risorse economiche (aprire un blog è notoriamente un'operazione gratuita) e generalmente scarne (o addirittura inesistenti) conoscenze legali. Non si deve attenere, per deontologia, ad un codice di autoregolamentazione professionale, non è iscritto ad un albo, non deve aprioristicamente verificare le fonti delle proprie informazioni e non deve rendere conto ad un superiore della frequenza e della qualità del proprio impegno. Non gode, quindi, degli oneri della professione ma neanche degli onori (retribuzione, notorietà, attendibilità e, soprattutto, consulenza legale, sindacale e normativa, spesso d'ufficio o gratuita). Si attiene unicamente alla propria civiltà ed educazione di libero cittadino, si esprime come può forte della propria alfabetizzazione, sa di essere potenzialmente esposto e - generalmente - ambisce unicamente alla realizzazione ideale di una capillare e puntuale informazione (o "controinformazione") cellulare, non allineata con le testate inter/nazionali, quasi un tazebao. Non si deve attenere ad una linea politica e/o economica, può dar credito e risonanza a semplici rumors (ovvero "notizie sentite in giro") e il proprio status di private-media comunica automaticamente - per definizione - ai lettori abituali e ai navigatori accidentali la potenziale inattendibilità e l'approssimazione della fonte che stanno consultando.

Ipotizziamo un paradosso: se io domani pubblicassi su questo blog la notizia che Silvio Berlusconi è stato un tempo donna e fosse diventato Presidente del Consiglio dopo il cambio di sesso, in quanti mi darebbero credito? E quanti crederebbero, invece, di aver inavvertitamente consultato il sito gestito da un folle sconosciuto?

E se tale notizia venisse diffusa da - che so - il portale de La Repubblica, a firma Vittorio Zucconi?

Et voilà.

Ecco concretizzarsi materialmente la disparità di status fra persone. E perché fa differenza se la denuncia per presunta diffamazione viene inoltrata nei confronti di un semplice blogger. Il legislatore, constatata la attuale incertezza normativa attorno allo strumento-blog, dovrà inevitabilmente tenere conto delle suddette e oggettive disparità tra giornalisti/pubbicisti e blogger, per intervenire in modo pertinente nella gestione di due figure - pur rivolte ad un pubbico - sostanzialmente differenti, evitando il prevedibile abuso che si potrebbe avere del ricorso alle vie legali, nei confronti di migliaia di bloggers, da parte di chiunque si senta anche lontanamente piccato. Potrebbe essere applicata, ad esempio, una coscienziosa e selettiva depenalizzazione (auspicata, tra l'altro, anche in altre forme di comunicazione) ed alleviare un ulteriore peso alla già congestionata Giustizia Italiana.

Ferma restando, ovviamente, la libera e non ingiuriosa espressione delle opinioni personali senza che poi si debba ricorrere spesso alla depenalizzazione stessa. Continua ad esistere un tale Articolo 21, mi sembra.

L'unica norma etica cui i bloggers devono attenersi è un livello minimo di confronto civile, evitando l'abbassamento dei toni sino alle offese personali gratuite, al turpiloquio ingiustificato, all'istigazione a delinquere, alla blasfemìa: chi conosce i blogs sa, comunque, che tali ignobili aspetti sono tenuti ben lontani dalla community.
Il tacito codice deontologico dei bloggers è proprio questo: qualsiasi singola anomalìa delegittimerebbe automaticamente la credibilità, la genuinità e la buona volontà di milioni di utenti e dell'intero movimento.

Il vuoto normativo e culturale che avvolge il mondo-blog indica chiaramente la sottovalutazione ufficiale di questo straordinario fenomeno. In questo senso - come bloggers - rischiamo realmente, per sentito dire, che i canali ufficiali di informazione di massa tratteggino un insieme di luoghi franchi dall'educazione e dal normale confronto dialettico, un'accozzaglia di pubblici diari nei quali si propugna la libera diffamazione anarco-insurrezionalista (per arrivare, magari, al terrorismo e alla pedopornografia, che fanno sempre notizia). Qualcuno, infatti, ricorderà che l'Internet balzò alle cronache qualche anno fa non per l'innovazione culturale e commerciale di cui era portatrice, ma per le sconce storie di circonvenzione di minore su chat e per i siti che istruivano gli adolescenti di buona famiglia su come costruirsi una bomba casalinga.

Ho quindi il timore che iniziative legali di questo tipo tendano a perseguire un duplice scopo:

- in particolare, inibire il vulnerabile cittadino al potenziale e pubblico dissenso, mettendolo di fronte a situazioni impreviste, macchinose, onerose e inevitabilmente stressanti;

- in generale, minare progressivamente la credibilità del Movimento, delegittimando all'esterno i contenuti in esso rappresentati.

Spero che il futuro mi dia torto.