27.7.05

Marzullo va alla guerra



[pubblicato anche su TvBlog]

Da romantico appassionato di storia contemporanea, è con un certo brivido che qualche settimana fa sono venuto a conoscenza della trasmissione - dal titolo lievemente pretenzioso - Ventesimo Secolo, diffusa da RaiUno ogni mercoledì sera alle ore 22:30.
Due settimane fa mi sono posizionato fantozzianamente con vestagliona di flanella e Peroni ghiacciata - risparmio la libertà del gesto successivo - in fremente attesa della messa in onda. Come nel peggior coito interrotto, però, quando sono comparsi in video gli autori della stessa, Gianni Bisiach e Gigi Marzullo, gli ardori si sono dissolti, improvvisamente, in maniera assolutamente nociva per il mio fisico ormai stantìo.

Il documentario è stata una carrellata di immagini fulminee, su anni ed eventi troppo complessi per essere liquidati in modo didascalico e puramente divulgativo. Decisamente più adatto ad un pubblico meramente curioso che realmente competente. Irritante, inoltre, il feticismo (non riesco ormai a definirlo in altro modo) di Bisiach per la famiglia Kennedy, comprensibile per JFK ma superfluo per Ted, alla quale l'Autore riconduce qualsiasi nota di costume o di politica dei primi anni Sessanta, in modo che il contenitore possieda un retrogusto speculativo e popolare: quasi una Domenica del Corriere animata, ingiallita dal tempo.

Che il parruccone di mezzasera passasse improvvisamente dalle domande sui sogni e la vita poste a sconosciute starlettes agli interrogativi sulla Guerra Fredda mi sembrava, sinceramente, un azzardo. Ma la presenza del redivivo Bisiach, quello dei videobignami mattutini e del commento con tono monocorde da Settimana Incom, purtroppo mi ha confermato ancora una volta che il punto di riferimento in TV, per quello che riguarda l'approfondimento storico, rimangono i documentari LUCE curati da Nicola Caracciolo e trasmessi saltuariamente da RaiTre.

Vedere per credere.

26.7.05

Minchia, "Signor Giudice"!

Il TG1 di ieri (ore 13:30) ha utilizzato, in chiusura, ben 4 - dicasi QUATTRO - minuti del proprio prezioso tempo per riferire una notizia cinematografica: "Sono in corso tra Mosca, Roma e New York le riprese di Signor Giudice 2, seguito di Signor Giudice (ma và?)".
Dal momento che sono appassionato anche di grande schermo, mi sono subito chiesto quale fosse il famigerato film originale sfuggito alla mia attenzione di spettatore. Forse una pellicola indipendente e interpretata da Robert Redford? O, magari, una megaproduzione italiana con Raoul Bova o Michele Placido?

Il successivo servizio filmato, mi ha aiutato a ridimensionare la portata della notizia stessa.
Eccone il testo integrale, riportato da Kataweb Cinema:

Domani a Roma cominceranno le riprese di un thriller fantapolitico di produzione russa 'Signor Giudice 2' (sequel di 'Signor Giudice'), diretto dal regista Arkady Kordon. Successivamente la troupe si sposterà a New York per terminare le riprese iniziate un mese fa a Mosca.
Il film narra la storia di una ristretta cerchia di persone con posizioni di potere nelle principali attività economiche ed istituzionali russe, capeggiati dal potente Orekhov (l'attore russo Gheorghi Taratorkin), che vogliono sovvertire il potere in Russia con un movimento pilotato dall' esterno. L'obiettivo è di far cadere il governo di Mosca facendo trapelare notizie su presunti interessi del Cremlino nell'acquisizione di ingenti patrimoni economici con mezzi illeciti.

Il film, girato in doppia presa diretta russa e inglese, ha tra i protagonisti un'attrice italiana: Daniela Alviani, scelta dal regista Kordon che l'aveva molto apprezzata nelle vesti di protagonista del film 'Zana', presentato fuori concorso a Venezia. La Alviani nel film è una giovane editrice che controlla, con le numerose testate giornalistiche ereditate dal padre, la stampa italiana. Coraggiosi articoli giornalistici l'hanno fatta rapidamente salire alle cronache mondane, come il personaggio di maggior spicco nell'editoria italiana. Per questo motivo viene contattata dell'oligarca russo Orekhov.

Il film è prodotto dal russo Boris Pinkhasik, per la multinazionale Etalon Film di cui Erik Vaizberg è il direttore generale con sede anche a New York e dall'italiano Alessandro Carella, della Greenlight Productions. Finite le riprese di 'Signor Giudice 2' l'accordo fra Carella e Pinkhasik prevede la realizzazione di un pacchetto di film da realizzarsi fra la Russia e l' Italia.


Inoltre scopro su altri siti che la protagonista principale di Signor Giudice 2 - Daniela Alviani - è anche sceneggiatrice e regista. Ulteriormente incuriosito, digito su Google il nome completo della novella Chaplin e mi ritrovo cotanto risultato.
Come ormai accade regolarmente con le notizie diffuse dalla TV ma approfondite sul web, quando credo di "non capirci più niente" comincio realmente a intuire qualcosa.

25.7.05

Souvenir di un cretino


Per chi non si fosse convinto definitivamente che "la mamma degli imbecilli è sempre incinta", il sito di Repubblica offre un'ampia rassegna antropologica della più recente versione di demenza multimediale diffusa.

Non riesco a definire in altro modo la beota levità con la quale i gruppi di turisti si fanno immortalare di fronte alle macerie - ancora fumanti - degli hotel distrutti solo qualche ora prima o l'attenta professionalità dei videomakers della domenica, profusa nello zoomare sull'autobomba con l'apparecchio comprato in sconto all'ipermercato sotto casa...

Se lo dicono in TV...

Un tempo si diceva: "se ne parlano in televisione...", dando per scontato che l'ufficializzazione di alcune notizie (attraverso la loro videodiffusione nell'etere) fosse garanzia suprema di attendibilità.
Nello stesso tempo, i films hollywoodiani proponevano disastri di varia natura (uragani, terremoti, tsunami, meteoriti, invasioni aliene), dei quali l'imminenza era a conoscenza solo di pochi fortunati (agenti segreti, supereroi o generali delle forze armate)... che ben si guardavano dal diffonderla in TV. Sarebbe stata azione scellerata, infatti, per le scene di isterìa collettiva e panico generalizzato che la notizia avrebbe causato nella popolazione.

Il nuovo millennio, ha di colpo 'smentito' questi luoghi comuni ereditati da un antico modo di concepire - e fare - la televisione. Abbuffarsi di fronte ad un lauto pranzo e, contemporaneamente, scoprire dalla voce elettronica del TG che le armi di distruzione di massa irachene - tanto "pubblicizzate" in TV - in realtà non sono mai esistite o venire a conoscenza che ci sarà un attentato chimico (no: atomico, no: convenzionale...), a Roma (no: a Milano, no: a Firenze...) entro Natale (no: Pasqua, no: domani...), giocando bellamente con l'adrenalina di milioni di persone è un gioco scellerato e idiota, che detronizza la credibilità del mezzo televisivo trasformando ogni notiziario in una carica a salve.

21.7.05

TvBlog scelto da Google News!

TvBlog, il blog nazionale sulla televisione con il quale collaboro attivamente da diverse settimane, ha avuto l'onore di essere selezionato da Google News quale fonte ufficiale per la sezione "spettacoli".

Un risultato lusinghiero, che premia un gruppo di giovani appassionati di TV impegnati nella guerra quotidiana contro la "banalità dell'apparenza"...

20.7.05

No Comment. Yes Comment.

A seguito delle polemiche nate qualche giorno fa su TvBlog attorno alla pseudo-calunnia ad Anna Falchi ("Scene da un patrimonio", presente anche su Te Le Visiono), avevo deciso di eliminare la possibilità di commentare le mie "pubbliche riflessioni" qui raccolte.

In fin dei conti, ho pensato, i blog sono luoghi attraversati distrattamente dai navigatori: difficilmente qualcuno si ferma per discutere amabilmente delle proprie opinioni (gli accessi sono relativamente frequenti ma gli interventi rari); inoltre, troppo spesso ho visto maleinterpretare certe considerazioni personali e trascendere alcuni avventori verso termini offensivi.
Motivo per il quale avevo deciso di eliminare la possibilità di postare i commenti.

Oggi ho deciso di re-inserirla: mi sembra un gesto di umiltà, di realismo e di apertura personale all'eventuale disaccordo del fugace lettore/telespettatore. Come tutte le raccolte 'intime', non mi aspetto particolari riscontri.. né in termini quantitativi, né qualitativi.

Rimarrò comunque presente in questa mia riserva periodica, manifestando alla luna i miei entusiasmi, le mie perplessità, le mie preoccupazioni sull'amata Tv. Se volete, io sono qui.

Buona visione.

19.7.05

E venne il giorno in cui la TV scappò.



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Se una accusa feroce e spietata poteva essere mossa alla televisione dei nostri tempi era l'ubiquità, l'intromissione forzata - cinica, ma allo stesso tempo morbosamente necessaria - nelle nostre vite con una profusione incessabile ed ipnotica di immagini e notizie. Dall'agonia di Giovanni Paolo II agli incombenti marosi dello tsunami asiatico, dalla ricostruzione minuziosa dei fatti avvenuti in una baita valdostana ai disperati gesti degli impiegati intrappolati nelle Torri Gemelle in fiamme, le telecamere (e con loro i nostri occhi e le nostre coscienze) sono state sempre presenti per testimoniare e documentare, per investire le nostre intimità con fiumi irrefrenabili di zoom, replay, ipotesi e scoop, spesso rubati con teleobiettivi ai quali non potevamo (o volevamo) sottrarci, se non privando di attività elettrica il fulcro della nostra giornata interattiva: quella scatola ultrapiatta e arrogante che ci guarda immobile dal salotto. Bastava rimanere lì seduti, immobili e sconvolti, per ricevere le frustate morali di una decapitazione o di una rivendicazione, di un omicidio e di una speculazione, inaugurando quella che da molti è stata ribattezzata "l'era dell'informazione passiva", take-away, da asporto, consegnata al nostro domicilio già cotta e masticata... solo da digerire.

Gli attentati londinesi del 7 luglio scorso, invece, hanno stravolto ogni aspettativa e ogni routine televisiva imponendo quello che Furio Colombo, dalle colonne dell'ultimo numero di Diario, definisce "embedded London", la Londra proibita e sottratta al voyouerismo sensazionalista, alle speculazioni universali, al furto di immagini ingrandite a dismisura, allo scontato teatrino delle parole attorno al nulla. Per la prima volta la realtà si è voltata dall'altra parte, si è coperta il capo adombrandosi di dolore e dignità, ci ha sospinto lontano con ferma delicatezza. Certo, i teleobiettivi si sono affannati nel strappare qualche fotogramma sfocato e mosso alla disperazione dei soccorsi e allo smarrimento dell'evento, ma la televisione vivida, aggressiva e invasiva che conosciamo quotidianamente era lontana anni luce dall'alienante isolamento di quella lunga mattinata.

Un'occasione per fermarci a riflettere, abbassare il volume e cercare dentro di noi quelle risposte che troppo stesso riceviamo impropriamente dalla saccente scatola di plastica.

12.7.05

Anna Falchi: scene da un patrimonio



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Coerentemente all'attuale campagna "Make Poverty History" - lanciata da tutte le ONG in occasione dell'ultimo G8 - Lady Finanza ha trascorso alcune intense settimane in ideale sintonia con lo spirito di Bob Geldof, per risolvere definitivamente i (propri) problemi finanziari e invadendo, come o forse più del Live8, tutti gli schermi, le rotative e le sciampiste disponibili.

Diciamo pure che dopo il Live8, il G8, una strage metropolitana e l'inasprirsi della guerra in Iraq non è che ce ne freghi troppo di questa sbarazzina dello schermo, passata astutamente da uno showman ad un motociclista e approdata - per la gioia della pagina Costume e Società di ogni TG2 che si rispetti - ai lidi ben più sicuri della speculazione. Su questo in neoconiugi concordano.

"Ognuno ha gli eventi che si merita", direbbero i vecchi. Del resto, con un televisore a palazzo Chigi (Michele Serra) e nessuna Grace Kelly in abito nuziale da guardare sospirando (non sapendo se invidiare più la grazia sofisticata della sposa o l'austera eleganza del marito), dobbiamo accontentarci di trepidare per le gesta di una meticcia vikingoromagnola, figlia di una delle tante avventure riminesi che avrebbero fatto la gioia di Fellini e della quale la storia non saprà se ricordare - con un certo imbarazzo - più la velocità con le quali le sono cresciute le tette, l'accurata selezione di illustri partners o l'abilità mediatica del nulla elevato a fatto di cronaca.

A questo punto, noi menefreghisti ad oltranza dell'episodio in sé e semplici cantori-forzati delle gesta (in quanto immagini) della pasionaria della Costa Smeralda, auspichiamo scenda un doveroso silenzio sull'accaduto: Anna ritorni al suo focolare dorato e Stefano ai suoi impasti di denaro.

Vivremo sicuramente felici e contenti.

8.7.05

Bomba o non bomba?


Sul suo blog, Indignato riporta un messaggio inquietante, apparso sul forum dedicato da Repubblica alle testimonianze da Londra. Eccolo:

Basta proteggere questi assassini

E’ sconvolgente, assurdo. Oramai ogni anno colpiscono come credono, liberi di fare come vogliono in un’Europa che li ha lasciati entrare, li ha accolti, istruiti, gli ha costruito le moschee. E questa è la moneta con la quale ci ripagano e noi qui a guardare, a perdonarli, per non parlare dell’Italia che si infiamma per due schiaffetti dati a un Imam che stava organizzando nientepocodimenoche un attentato a Milano, o che libera un terrorista perchè, poverino, è solo un “guerrigliero”, che impedisce le espulsioni di appartenenti a cellule terroristiche islamiche, che lascia i capi “spirituali” (ma ce l’hanno davvero un’anima) di predicare e diffondere l’odio verso coloro che li hanno accolto. Basta proteggere questi assasini, oramai è guerra aperta e la stiamo subendo appieno e in guerra ci si difende, si inaspriscono le pene, si mandano a casa i terroristi , si chiudono le frontiere ai sospetti, basta falsi buonismi sinistroidi, basta condannare solo il G8 e la guerra in Iraq. Condanniamo chi ci uccide i nostri cari, chi minaccia la nostra libertà, chi ci impone il terrore. Non dimentichiamo che hanno dichiarato che la prossima volta potrebbe toccare a noi, spero che mi pubblichiate questo messaggio.


Pur cosciente di apparire - agli occhi dei più - un fiancheggiatore di Bin Laden, comunista, amico di Agnoletto (o "Agnolotto", direbbe Emilio Fede), forse anche un pò frocio (il fatto che mia moglie aspetti un figlio ne é unicamente il facile alibi), mi chiedo che differenza passi tra chi mette le bombe in una stazione o in una banca e "quelle bestie" dei musulmani. Sembra quasi che l'inciviltà risieda unicamente in loro. Ricordo, però, che non più tardi di 13 anni fa, al crepuscolo dell'estate 1993, una serie di ordigni distrussero via Palestro a Milano e via dei Georgofili a Firenze. Nel 1980 - in una giornata come tante, nelle assolate ferie stive bolognesi - un unico ordigno uccise 85 persone e ne ferì 200 (circa il doppio rispetto alla tragica conta di questi giorni londinesi). Il 26 giugno precedente, sempre 25 anni fa, un DC-9 si era inabissato nel buio di Ustica insieme a 81 persone.
Tali carneficine non hanno ancora una firma, anche se qualsiasi ipotesi porta verso i nostri stessi connazionali (o alleati militari).

Di tante, troppe stragi non sappiamo né il movente, né - aspetto agghiacciante - gli autori. Mi sono stufato di sentir parlare di gerarchie di civiltà, di guerre, di bestialità, di primato culturale o intellettuale. Ogni tempo ha le sue ottuse battaglie, da controbattere a colpi di prevenzione e indagine, senza che un intero popolo (o un'intera razza) venga criminalizzato per le stesse, combattute da una esigua minoranza militante e obnubilata dall'odio e dal nichilismo: quanti giovani occidentali, fino a pochi anni fa, serravano le fila di quegli stessi piccoli eserciti arrabbiati?

Il luogo comune del dolore



[pubblicato anche su TvBlog]

Non c'è strage, carneficina, attentato, esplosione, ecatombe occidentale che non preveda, il giorno successivo, la fotografia o la zoomata sull'uomo o la donna comune (meglio se con ragazzino in braccio) che - un pò imbarazzato, un pò commosso e molto fiero di dare bella mostra di sé al mondo insensibile - si inginocchia ad aggiungere un fiore, un biglietto o un peluche alla massa di fiori, biglietti o peluches già posti in loco da altri e a loro volta ripresi, zoomati, fotografati.

Questo luogo comune delle tragedie collettive, è un ulteriore tassello grottesco del baraccone che si scatena nel momento in cui l'attenzione morbosa dei media viene calamitata dalla "solita" routine: l'impiegato ferito (sempre quello), la donna che piange, il bimbo atterrito nelle braccia del padre. E, l'indomani, la prostrazione nel campo dei fiori. Vedere i siti delle testate più importanti per credere: gli elementi si ripetono in modo inquietante e ridondante. Una specie di globalizzazione - televisiva e fotografica - del rito. Si tratti di una bomba, di un'onda anomala, di una principessa deceduta dentro ad un tunnel, di una curva dello stadio: l'omino o la donnina inginocchiati - con fiore in mano, colti nell'istante della posa da una prospettiva rasoterra per aumentare il pathos - non mancano mai.

Uno dei tanti modi per esorcizzare le nostre paure e manifestare quel cordoglio peloso, da esportazione. Pronti a recarci a donare un fiore, ma refrattari a qualsiasi presa di coscienza politica.

6.7.05

Il "loro" Novecento



[pubblicato anche su TvBlog]

Con l'intervista ad Ettore Bernabei, ha preso il via ieri sera su RaiTre il secondo ciclo della trasmissione "Il mio Novecento", programma - leggiamo sul sito ufficiale - "di Luigi Bizzarri che su Raitre propone l’incontro con personalità significative che, in diversi campi e in diversi tempi, hanno ‘segnato’ il secolo appena trascorso. Personalità significative nel mondo della cultura, della scienza, della politica, del lavoro, dello spettacolo, della religione, che nella loro vita hanno ‘incontrato’ la storia del secolo contribuendo, in parte, a determinarla".

Sopito dopo attimi l'entusiasmo per tale notizia, andiamo a scoprire quali sono queste "personalità significative" dall'aura salvifica che hanno contribuito a 'scrivere la storia' del secolo appena trascorso: il Generale Jaruzesky, Benazier Bhutto, il Cardinal Martini, Tina Anselmi, Oscar Luigi Scalfaro, Rossana Rossanda, Mirko Tremaglia ed Ettore Bernabei. Se l'elenco, soprattutto nell'ultima, parte vi sembra risibile, tenete presente che in realtà è stato da me stravolto in ordine di REALE valenza storica del personaggio: ieri sera, infatti, il ciclo attuale della trasmissione si è aperto - appunto - con la prima parte dell'intervista al Padre/Padrone Rai del periodo 1961-1974.

A cavallo fra l'olezzo d'incenso e le macchie di olio di ricino, il trionfo dell'agiografia trova compimento in questo format che ha nella scelta delle personalità da presentare il proprio, inquietante motivo d'esistere. Un colpo di qua (Rossanda), un colpo di là (Tremaglia); una palpatina al clero (Martini, Scalfaro), un occhiolino all'Islam (Bhutto); un cenno all'ex despota, neanche troppo cattivo con i cattolici (Jaruzesky) e l'inchino al Principale (Bernabei): quest'ultimo suddiviso in due parti perché non sembrasse troppo poco servile. L'unica, vera testimonials degna di tale iniziativa, Tina Anselmi, lì da sola, nel mezzo, ci fa quasi pena. Trionfo di parcondicismo pernicioso, scivolone in fondo alla rampa di RaiTre (notoriamente ricca di idee anticonformiste da terza serata), "Il mio Novecento" dà bella prova di cosa può rappresentare "il nuovo che avanza" e l'imbarazzo nel quale sguazza la cultura quando deve rendere conto a troppi poteri. Jaruzesky e Tremaglia, Bernabei e Bhutto: "che c'azzeccano?", direbbe Tonino...

5.7.05

Benvenuti al Bar Sport di Strasburgo



Ancora una volta per "merito" dei soliti legaioli l'Italia ha dato bell'esempio di sé all'Europa. Mario Borghezio, Matteo Salvini e Francesco Speroni (questi i nomi degli allegri peracottari brianzoli, ormai più simili a senili giocatori di briscola da bar che a onorevoli politici) al grido di "basta Euro" si sono fatti espellere dall'aula di Strasburgo.

Fatto curioso, i suddetti esponenti della provincia più profonda e della più bieca ideologia paranazista forgiata dal qualunquismo strisciante, sono rappresentanti in pectore di non si sa cosa (eletti in Italia, presenti in Europa, portavoce Padani) ma vengono foraggiati cospicuamente da tutti noi ed allegramente spalleggiati da taluni organi di stampa - televisione nazionale in primis - in quanto più pittoreschi di un'icona sordiana.

4.7.05

"La globalizzazione della solidarietà"

TUTTE le rughe del rock, da quelle morbide e liete del baronetto McCartney a quelle scavate e tese della sublime e pallida Annie Lennox. E tutta la retorica del rock, il mondialismo buono e affratellante, l'antirazzismo naturale e cosmopolita che fu dei capelloni e dei globe-trotter (i nonni dei fiori), l'estasi promiscua e brulicante dello "stare insieme", l'energia dei decibel come metafora della voce dei popoli.

E le parole d'ordine edificanti e virtuose non molto progredite dai tempi di "peace and love", anche se favorite, oggi, dalle entrature politiche delle pop-star presso i leader mondiali loro coetanei, ex capelloni al potere e incravattati per ragion di Stato come Blair, Fischer, Veltroni. (Bush no, Bush era desolatamente Bush anche a quindici anni).

Ma proprio per questo, per la sua prevedibile enfasi, il suo fracasso vigoroso e già sentito, direi, in una sola parola, per la sua ingenuità smagliante, il concertone multicontinentale pro-Africa aveva qualcosa di irresistibile. E non tanto per il cast, per quantità e qualità davvero storico, quanto per la volontà di essere quello che la musica pop è ormai da tempo, la faccia amichevole del villaggio globale, forse la sola lingua, insieme al calcio, che sia riuscita a essere davvero transnazionale senza essere (quasi mai) imperiale.

L'articolo di Paul McCartney pubblicato ieri su questo
giornale proprio questo era: amichevole e disarmante, socievole e ottimista, era il discorso di un intellettuale popolare abituato all'immediato intendersi delle canzoni, non calibrato, non scafato, soprattutto non cinico. E dire "non cinico", di questi tempi, è probabilmente il massimo riconoscimento di anticonformismo possibile.

Il secco "siamo qua perché ci crediamo" con il quale il rude e potente Piero Pelù, dal palco romano, ha salutato il pubblico, era il riassunto perfetto di tutte le altre didascalie pronunciate da divi e divine sui palchi di mezzo mondo, non più elaborate della sua, non più raffinate, e alcune viziate dall'aggressività indotta forse dall'imbarazzo di essere molto ricchi e testimonial di poverissimi: eppure non c'era il puzzo, così riconoscibile, dell'ipocrisia, perché in fin dei conti Live 8 esattamente questo era, provare a credere che una botta di grancassa ben sincronizzata possa incidere sul rumoroso e caotico silenzio che circonda la fame, la sete e la schiavitù della miseria. Almeno per un giorno, e almeno per chi ha orecchio.

Perché, certo, salire su un palco e dire a qualche milione di spettatori che ogni tre secondi, in Africa, un bambino muore di fame, è quasi indisponente considerando il buffet dietro le quinte, ma è anche terribilmente, implacabilmente vero, e non è che dirlo una volta di più faccia poi così male, considerata l'impaurita indifferenza nella quale si vive un po' tutti, e la tirchieria etica e sentimentale che batte il ritmo del potere mondiale.

A parte la virtù dell'ingenuità e dell'anticinismo, l'altro fenomeno che ha animato Live 8 è l'impressionante azzeramento delle barriere generazionali, con i teen-ager che cantano a memoria canzoni scritte molto prima che nascessero, gli artisti giovani che tradiscono, quasi tutti, la continuità con i modelli tracciati quasi mezzo secolo fa dai loro padri, e gli artisti anziani, oramai intorno ai sessanta, che portano il loro repertorio nella serena certezza che sia assolutamente contemporaneo. Lasciando agli esperti il compito di stabilire se questo consacri come geniale il pop delle origini, oppure condanni come mediocri le nuove leve, quello che interessa maggiormente è la longevità di un pezzo quasi primordiale della cultura di massa: quella del cosmopolitismo pacifista, del "peace and love", della giustizia e della libertà intese come sentimento naturale e non come ideologia "scientifica".

Fu, quella, la parte migliore, e dunque quella giustamente sopravvissuta, dei ragazzi ribelli dei Sessanta e della loro mitologia, dei loro poster barbuti e dei loro dischi schitarranti. Di là viene la scintilla di Live 8, organizzato da un adultissimo e incanutito rocker come Bob Geldof, animato da molti vecchi ragazzi come McCartney, inutile quanto è inutile nutrire qualche buon pezzo di verità e qualche buon proposito. La promozione dei dischi, il business, la pubblicità facile, quel tanto di sempre peloso che c'è nella propaganda altruista e caritatevole, tutto questo viene prima o viene dopo, non certo durante quel lungo momento nel quale alcuni tra i migliori artisti del mondo hanno provato disperatamente a credere, nonostante gli anni, i miliardi e il potere, di non essere diventati cinici.

Michele Serra, La Repubblica (3 luglio 2005)

3.7.05

Live8: è calato il sipario

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Ok. Live8 è finito ovunque.
RaiTre, probabilmente vivendo grosse crisi di coscienza, sta attualmente proponendo (ore 01:48) le immagini 'tagliate' durante gli spot, i TG e le esibizioni sovrapposte. Giusto proporle in differita a quest'ora antelucana: chissà che effetto, sulle menti offuscate dal sonno...

Vabbé. A parte questo e dimenticando le disavventure di Indignato, stavolta 'indignatosi' davvero (e a ragione), vorrei scrivere qualche sensazione a caldo, prima di far scendere la notte definitivamente sulla giornata straordinaria e sui miei aggiornamenti remoti ed assemblati d'istinto...

1) Geldof ha perfettamente ragione quando parla di 'potenza dei media e dei cantanti'. Nessun Capo di Stato o di Governo al mondo è capace, al cenno di una mano, di far alzare e saltare duecentomila persone (come Robbie Williams, ad esempio): penso che molti politici abbiano "paura" del potere comunicativo di questi opinion-leader. Giusto che si muovano i re delle presunte canzonette, gli attori, i comici: se ciò deve servire a sensibilizzare anche solo una coscienza, ben vengano certe iniziative.

2) Peccato per le defezioni di alcuni nostri cantanti, che purtroppo non hanno compreso appieno né le finalità dell'operazione, né la magra figura che hanno fatto nel negarsi al coinvolgimento universale. Vasco avrebbe potuto partecipare in apertura, come hanno fatto i ben più noti (e stressati) U2, lasciando da parte - per una volta - le solite polemiche con i colleghi o gli organizzatori e scappando alla chetichella per suonare ad Ancona (gli U2 si sono poi esibiti a Vienna). Peccato davvero, anche per Pino Daniele (e per Ramazzotti, i Pooh, Celentano, Dalla, la Consoli e qualsiasi altro artista che sia stato contattato e abbia declinato un invito vitale al coinvolgimento diretto del proprio pubblico).

3) Memorabile, assolutamente memorabili le performances di Who, McCartney, Sting, Lennox, l'istrionismo di Williams e il carisma dei Floyd (emozionanti come un secolo fa). In particolare McCartney e gli Who sono stati decisamente all'altezza della situazione, molto di più che nell'85 (acustica perfetta, forse, aiutata anche dalla maggiore tecnologia disponibile). McCartney è apparso molto più a suo agio con il repertorio dei Beatles: vent'anni fa non lo suonava da molto tempo. Venendo ai "nostri": non scontato Zero, simpaticissima la "Roma Capoccia" di Venditti/Baglioni, trascinante il ritorno di Zucchero alle rustiche origini e travolgente Lorenzo.

4) Non tutti, forse, hanno notato la finezza del brano di apertura cantato da McCartney/U2 ("Sgt. Lonely Heart Club Band"). Il brano inizia con la strofa "it was twenty years ago today..." (riferimento al precedente Live Aid). Inoltre, trattandosi di evento simultaneo globale, ci ha riportato ai tempi in cui i Beatles avevano inaugurato la prima trasmissione satellitare con "All you need is love" (1968).

5) Inaspettato colpo di scena è stata la comparsa di Bill Gates, a metà pomeriggio, sul palco di Londra. E' stato realmente un colpo di genio da parte di Geldof e dello stesso Gates (come non leggere però, maliziosamente, anche una subdola manovra di marketing?): speriamo solo che "laddove non può una canzonetta possa una delle più potenti multinazionali del pianeta". La cancellazione del debito è, attualmente, l'unico scopo da tenere a mente: ben vengano i Gates a proporci Windows al posto del riso, se questo deve servire alla causa...

6) I miti imbiancano, come noi ormai. Gilmour, Townsend, Daltrey, McCartney sembrano realmente delle "vecchie zitelle inglesi"(definizione di La Repubblica). Lo stesso George Michael sembra lo zio di quello che avevamo lasciato nell'85. Stevie Wonder e Simon Le Bon si devono ormai spostare su un muletto: sono ingrassati di diverse decine di chili. Solo Elton John resiste, dietro i suoi occhialini e i suoi completi improbabili, come una cariatide hollywoodiana. Ma che verve, che stile, che fascino... A parte qualche giovane di buona volontà, i confronti fra nonni e nipoti è sempre più imbarazzante (a favore degli "anziani", ovviamente!).

Per concludere: grazie di nuovo, Sir Bob.
Questa giornata la ricorderemo per un pezzo, come spero la ricordino i nostri governanti per lo meno tra una settimana.

Buona notte a tutti.

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2.7.05

Live8: ma "noi" ci siamo o ci facciamo?

Allora: facciamo un attimo il punto sulla goffaggine, tutta italiana.

In questo momento - vedo su Sky 109 - abbiamo un "We will rock you" di Robbie Williams da Londra e un Claudio Baglioni in gran forma con "Strada facendo".
Nel frattempo, RaiTre (alla quale paghiamo il canone), trasmette la pubblicità delle Pagine Gialle, della Coop, la preview di "Chi l'ha visto?" e il TG.

Sono perfettamente d'accordo con Indignato: ci stiamo facendo una figura tremenda. Complimenti...

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Live8: altri brividi e lacrime

In Schindler's list si diceva "Chi salva una vita salva il mondo intero".

Poco fa Geldof ha ripresentato il video dell'85 - quello con la musica dei Cars di cui ho parlato nel mio post precedente - interrompendolo su un fotogramma che presentava il volto emaciato di una bambina denutrita.

Ha quindi introdotto - sul palco di Londra - quella stessa bambina, diventata oggi una splendida donna, mandando a pu**ane - in un attimo - tutte le polemiche a proposito di partecipazioni, strumentalizzazioni, commercializzazioni e altre chiacchere, assolutamente sterili e inutili.

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Live8: Annie Lennox tocca lo zenith

Chi ha assistito al LiveAid del 1985 si ricorderà la canzone "Drive" dei Cars suonata sulle immagini di un bambino africano agonizzante per la fame.
Ecco: in quel momento tutti ci sentimmo più piccoli e miseri. La musica toccò le corde dell'anima.

Poco fa, complice - finalmente - la vittoria di Venus Williams a Wimbledon e la distrazione di mia moglie, sono riuscito a sintonizzarmi dul canale Sky 109 e seguire, da Londra, l'apertura dell'esibizione di Annie Lennox al piano, da sola, che ha cantato "Why" sulle immagini strazianti di un documentario da lei stessa interpretato.
Zoom sulla disperazione, sugli occhi dei bambini, sulla morte... e in sottofondo quella canzone, diavolo!

Mi sono ritrovato a piangere.

Ringrazio nuovamente Geldof di esistere e i cantanti della loro partecipazione.

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Live8 e Tg3

Bene, bene il TG3.

Secondo servizio, circa 7 minuti di notizie e aggiornamenti in diretta da Roma (intervista a Ron) e Londra.
Accenni alle scalette, alla figura di Bob Geldof, alle speranze del Terzo Mondo e ai valori universali alla base dell'evento; testimonianze dei cantanti e le reiterate speranze che un blitz di Jagger permetta la fusione 'siderale' fra Rolling Stones e ciò che resta dei Beatles.

Rimaniamo sintonizzati.

Aggiornamento ore 14:28 - il TG3 si risintonizza per parlare con il pubblico. Una signora invalida partita ieri notte da Cagliari (GRANDE!!!), tanti ragazzi ma anche moltissiimi adulti entusiasti. La linea passa direttamente alla diretta con Giovanni Floris, ora insieme a Veltroni. Parlano di Africa e di musica. Bello.

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Indifferenza attorno al Live8?

Forse è solo una spiacevole sensazione, ma dagli ultimi telegiornali (ad una manciata di minuti dall'avvio della diretta occidentale) sembra trasparire un pò di snobismo e superficiale indifferenza all'evento: le interviste trasmesse durante il TG1, poco fa, ai ragazzi arrivati all'alba sembravano le testimonianze di alcuni sparuti eroi, giovani e folli. Testualmente è stato detto che sono presenti attualmente - al Circo Massimo - "poche migliaia di persone, che probabilmente s'infoltiranno durante il pomeriggio" (?).

Posizione della notizia in scaletta: sui 4/5 del TG, subito prima l'aggiornamento selle partenze per le vacanze di molti italiani.

Meglio, come sempre e in questo preciso istante, il TG3: "le migliori star internazionali chiedono a gran voce l'azzeramento del debito".

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Live8 al via!

E' caldo, mi sto sintonizzando su RaiTre dal televisore 17" dello studiolo di casa (ho mia moglie obnubilata da Wimbledon e Sky, in salotto) e - INCREDIBILE - stiamo aspettando un evento universale e mi è saltata la connessione ADSL: inutile chiamare il servizio clienti Libero poiché - ovviamente - nel momento del contatto con l'operatore cade inesorabilmente la linea. Legge di Murphy, obviously.

Ringrazio infinitamente il "collega" blogger Indignato per il magnifico lavoro che sta facendo - e continuerà a fare durante tutta la giornata - dalla posizione privilegiata nel backstage. Lui sarà il nostro invidiatissimo "agente all'Havana".

Per quello che ci riguarda, amici, io farò la mia umile parte testimoniando le sensazioni di un piccolo telespettatore collegato via modem ad uno spicchio di storia da 17".

Sono pronto!

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1.7.05

LiveAid, LiveEight.

[pubblicato anche su TvBlog]

E così domani ritorna quel sogno.

Un pomeriggio di luglio, un sabato assolato, l'esame di terza media appena sostenuto. Le partite di basket nel campo della parrocchia sotto casa, gli amici, la passione acerba per la musica (una New Wave ormai imborghesitasi in gruppi come i Duran Duran, gli Spandau Ballett o gli Wham!), la percezione che quella diretta da Wembley - trasmessa sulla "terza rete rai" - sarebbe stata lunga e (si dice) memorabile.
Avevo quattordici anni, poco tempo a disposizione da dedicare al rock e molto ai "giochi elettronici" (così si chiamavano i primi videogames) o alla spiaggia, un videoregistratore SABA e l'incoscienza di lasciarlo spento, quel giorno.

Me ne sono pentito amaramente e lungamente per circa diciannove anni, dopo. Una rivelazione tardiva: la passione per la musica leggera scoppiata a 17 anni, un basso elettrico e tante leggende sorte attorno a QUEL concerto. Aver potuto dire ai miei amichetti: "io l'ho visto" (poco importava che avessi registrato solo la parte notturna per gustarmi l'esibizione - pessima - dei Duran: involontariamente avevo permesso ai miei genitori di assistere al memorabile duetto fra Tina e Mick, ormai alle prime luci dell'alba).
"Dopo" è stata la ricerca spasmodica nei mercatini, sul web e nelle aste di un DVD, un VHS, un CD, un vinile... qualsiasi cosa che testimoniasse quel pezzo di storia che mi aveva solo sfiorato. E finalmente la pubblicazione ufficiale, una memoria digitale perfetta e immutabile, senza però quel caldo dell'estate 1985, i miei quattordici anni di bonaria ignoranza, le stecche dei Duran né il microfono muto di uno stupefatto McCartney, un silenzio sostenuto da "Let it Be" cantata in coro da tutto il pianeta, l'incomprensibile pelle d'oca di mio padre.
Poco importava delle cifre (astronomiche, ripensandoci oggi) che donammo, la mia famiglia, i parenti e tutti i nostri amici incollati al televisore, in quell'afoso sabato di luglio nel quale l'Unione Sovietica era così vicina e simile a noi. La magia di un sogno ci aveva scosso; la televisione e la musica diventavano assieme, di colpo, uno strumento per insinuarsi con prepotente emozione nella coscienza collettiva.

Svegliamoci tutti: domani il sogno di LiveAID, anzi , torna a rivivere.