26.11.04

"Paura, eh?"

Dopo lo straordinario successo ottenuto con il romanzo giallo “Almost Blue” (1997), che l’ha rivelato al grande pubblico quale giovane autore ‘noir’ nostrano e di particolare talento, Carlo Lucarelli ha deciso di sfruttare la propria abilità linguistica e la passione per gli eventi giudiziari, politici e criminosi realmente accaduti (e spesso non completamente chiariti) quali solide basi sulle quali costruire la domenicale “Blu Notte”, indagine attorno ai grandi misteri italiani, in programmazione da diversi anni prima su RaiDue, poi su RaiTre.
Caratterizzato da un abbigliamento eccessivamente austero (un imperturbabile completo nero con polo scura chiusa sino all’ultimo bottone: un look più adatto ad un giovane e pingue curato di campagna che ad un conduttore televisivo contemporaneo) e da un appeal parimenti monocorde e sotto le righe, il sobrio Lucarelli accompagna lo spettatore alla comprensione degli intricati misteri epocali nazionali “con voce indagatrice e chiara, eppure anche un po' roca e pienamente narrativa” (come efficacemente sintetizza una sua controcopertina di alcuni anni fa). Nel tempo delle grida bipartisan e della concitata guerra all’ultimo share, combattuta a colpi di lustrini, chiappe e cottilons, è sinceramente intrigante e rassicurante – per lo spettatore congestionato da tanto baccano - poter ascoltare ed esplorare storie poliziesche, efferati delitti, indizi dimenticati e soliti sospetti in compagnia dell’amico cicciottello del liceo, così normale e così poco saccente (anzi tranquillo e inerme nel suo completino nero e nelle sue scenografiche lampadine blu) da far apparire semplice – e forse scontata? - la soluzione di qualsiasi mistero e ovvii gli interrogativi posti agli inquirenti.
E da ispirare una memorabile parodia del quasi conterraneo Fabio De Luigi.
Ci piacerebbe, forse, che alcuni aspetti meno conosciuti dei casi più eclatanti venissero sviscerati con maggiore profondità, magari ricorrendo all’aggiunta di più puntate sul singolo argomento, dal momento che due ore scarse non permettono, oggettivamente, un’adeguata analisi di fatti storicamente complessi… “Ma questa è un’altra storia”.

12.11.04

Porca a Porca?

Quando verrà elaborato il nuovo Codice di Procedura Penale i giuristi dovranno introdurre, in coda ai giudizi di Appello e Cassazione, anche l’audizione televisiva tramite soliloquio dell’imputato (con fini unicamente pubblici ed immancabilmente assolutori) davanti all’Alto Tribunale Rai presso Porta a Porta, presieduto da “Vostro Disonore” Dottor Bruno Vespa.
Tale Tribunale Speciale, che si riunisce da diversi anni “a mezza sera” (termine coniato dallo stesso Conduttore per indicare una fascia oraria che va dalle ore 22:00 circa, all’alba del giorno dopo) e al termine di tutte giornate feriali che Nostro Signore manda in Terra, ha rappresentato negli ultimi tempi il pulpito nazional-popolare dal quale alcuni imputati (coinvolti in risibili processi che spaziano dall’associazione mafiosa alla corruzione, passando per l’infanticidio e i crimini di guerra), senza contradditorio e con il pronto supporto del proprio avvocato difensore vicino di poltrona, hanno goduto di una gustosa sentenza subliminale “di non luogo a procedere” di fronte all’opinione pubblica, costruita con fatica e mirabile abilità mediatica in oltre due ore di salotto televisivo senza capo né coda.
Straordinariamente soprannominato da Gianpaolo Pansa “il Grande Sughero” per la capacità di ‘galleggiare’ per decenni tra i marosi delle alternanze di Governo e delle simpatie personali del Potente di turno, questo Vespone truccato è riuscito, negli anni, a imporci un carrozzone luccicante ma mai arguto, non informativo o – in fin dei conti – particolarmente piacevole, dimostrando così anche una certa capacità nel destreggiarsi tra le notizie e i fenomeni contemporanei senza, in realtà, effettivamente esplorarle o analizzarli. Un barattolo sotto vuoto.
Già quella sigla/colonna sonora ridondante e kitch (“Via col Vento”) inquieta il telespettatore, spiazzato da un accostamento tanto audace (cosa c’entra Rossella O’Hara con Tremonti?): l’angoscia però lascia presto il campo all’irritazione quando, proprio nel momento esatto in cui la conversazione o il dibattito sembrano incredibilmente farsi interessanti, il puntuale conduttore preme personalmente (come da immagini di Striscia) un pulsante posto sotto la propria scrivania, facendo così risuonare uno stereofonico campanello che annuncia l’ingresso di un ospite (che, generalmente, non c’entra nulla con l’argomento trattato in quel momento) distraendo la conversazione per riportarla sugli usuali binari della iperglicemica banalità formale. Bisogna, in fondo, dare atto al Vespone che invitare Valeria Marini alla puntata sull’aumento del costo della vita o Mara Venier in occasione della discussione della nuova legge Finanziaria, senza peraltro parlare effetticamente di quegli argomenti, è intuizione forse geniale e sicuramente diabolica. Lode, quindi, all’Superuomo Sughero, amico dei Sovrani, dello share e di sé stesso, sinonimo di “politicamente corretto” e incarnazione della mediocre piacioneria dei nostri tempi.

8.11.04

Il Grande Bordello

L’espulsione del concorrente Guido Genovesi, di anni 39, dalla Casa del Grande Fratello a causa di una sequela ingiustificata di espressioni blasfeme (leggi: bestemmie a catena), è solo l’ultimo spasmo agonico di una trasmissione stantìa, vacua e asfittica, alla ricerca (forse) dello ‘scandalino’ o dell’incidente fortuito per riconquistare, dopo le prime pagine di qualche anno fa, qualche riga a piè di pagina nel supplemento degli spettacoli. Una delle ultime sintesi, ad esempio, in due ore allucinanti è riuscita a proporre solo discorsi insensati, fumi di sigarette a gogò, proposte di orge e una quarantina di lattine di birra bevute da soli tre concorrenti. Praticamente un bordello catodico. Qualche giorno prima, però, la stessa emittente Italia1 aveva deciso di invertire le trasmissioni domenicali “Le iene” e “Mai dire Grande Fratello” della Gialappa’s Band poiché sembrava che non solo l’originale, ma addirittura la parodia dello stesso format non sia più in grado di rianimare gli entusiasmi perduti e che il pubblico ne stia decretando un lento - ma cresecente - oblìo.
Nauseati dall’overdose mediatica di concorrenti ed ex-concorrenti riciclati come ballerini, cantanti, opinionisti, “tuttologi” e, comunque, ‘ospiti di qualcosa’, il Grande Fratello ha bruciato in fretta la propria aura di novità ripetendosi ogni anno sempre più simile a sé stesso e calcando, spesso in modo volgare e inopportuno, tratti umani e comportamentali “estremi” confermando la massima che “in televisione sia lecito tutto” pur di raggiungere lo share perduto.
Laddove il voyuerismo e la novità per l’uomo comune messo in gabbia spingeva la curiosa morbosità e l’immedesimazione - affermando nel contempo personaggi pittoreschi e originali, uno su tutti Pietro Taricone -, la riproposizione seriale di soggetti sempre più schizofrenici e caricaturali (non sapremo mai se fisiologici o scenografici) e l’elevazione progressiva di quegli stessi “comuni mortali” a personaggi onnipresenti e onniscenti (basta guardare una qualsiasi puntata di Buona Domenica o del Maurizio Costanzo Show), ha progressivamente e giustamente saturato il pubblico e impoverito ulteriormente la già misera parata di ospiti fissi nelle trasmissioni d’intrattenimento pomeridiano.
A partire proprio dalla prima edizione, forse l’unica ad aver avuto ragione di esistere sia a livello culturale che televisivo, di anno in anno i “volti” della Casa smettevano di essere dei nomi veri e propri, con una propria personalità e simpatia, e cominciavano ad essere incarnati da un “comportamento” (sempre più schizoide): conosciamo, infatti, più la “Darlàvia” creata della Gialappa’s che il vero nome di Katia dell’edizione scorsa. Inoltre, indicativa proprio di questo decadimento progressivo potrebbe essere stata anche la sparizione, in corso d’opera, della conduttrice Daria Bignardi, sofisticata e trendy, a favore di quel beoto richiamo: “Ragaazziiiiii….” imposto dalla sempre più gommata e virtuale Barbara d’Urso, degna (o indegna) padrona della famigerata Casa.
Diceva Woody Allen: “Sono certo che se andassi alla Carnagie Hall a vomitare sul palco, qualcuno avrebbe il coraggio di chiamarla Arte”. Più o meno…